martedì 19 ottobre 2010

No-ping!

 DOPING:
  1. la somministrazione, l'assunzione e l'uso di sostanze appartenenti alle classi proibite di agenti farmacologici e l'impiego di metodi proibiti da parte di atleti e di soggetti dell'ordinamento sportivo;
  2. il ricorso a sostanze o metodologie potenzialmente pericolose per la salute dell'atleta, o in grado di alterarne artificiosamente le prestazioni agonistiche;
  3. la presenza nell'organismo dell'atleta di sostanze proibite o l'accertamento del ricorso a metodologie non consentite facendo riferimento all'elenco emanato dal CIO.

Mi scervellavo su cosa scrivere come secondo post nel mio blog che sento di aver trascurato troppo.
Dopo la mia dedica al grande Miguel credevo dovessi entrare subito nel vivo con un bell’articolo su i miei obiettivi “sportivi”, come per esempio raggiungere i 10.000 Km in 12 mesi. Per me un’impresa.
Ma gli eventi che hanno caratterizzato queste ultime settimane e che ormai sembrano accompagnare come un’ammiraglia la corsa dei ciclisti, mi hanno spinto a riflettere e a fermarmi un attimo.
Oggi il mio pensiero è rivolto al problema doping.
Cercare di ricostruire una storia che ripercorra l’evoluzione di questo “mostro” vorrebbe dire iniziare, secondo molti, dal 668 a.c., da quando cioè, secondo alcuni documenti storici, gli antichi atleti greci avevano l’abitudine di utilizzare funghi allucinogeni, erbe ed altre sostanze, per incrementare le loro prestazioni sportive.
Da allora le cose son cambiate notevolemte. Oggi certamente chi mangia funghi allucinogeni non è considerato un dopato, ma tuttalpiù uno stupido. Nel 2010 per migliorare le proprie prestazioni non basta certo alzarsi di buon’ ora ed andare in giro nelle campagne alla ricerca di funghi variopinti. Per resistere alla fatica ed al dolore dovuto ad attività sportive al limite della sopportazione umana bisogna entrare in farmacia. Bisogna rivolgersi al medico.
Oggi l’elenco delle sostanze proibite è davvero lungo, e a redigerlo è stata nel 2004 la World Anti Doping Agency (WADA) che dal 1999 è l’ente internazionale che lotta quotidianamente affinchè lo sport sia pulito.
La lotta di questo organismo è estenuante ed ha portato a numerosi risultati positivi, grazie ad una lunga serie di controlli a tappeto.  Tuttavia il problema non è stato cancellato perché agli atleti, e soprattutto ai ciclisti sono richieste delle prestazioni al limite dell’umana sopportazione. Sono quindi costretti  a vivere in situazioni in cui il ricorso a sostanze esterne diventa quasi un obbligo. Per questo motivo, nonostante gli sforzi delle autorità garanti nazionali, delle Federazioni Internazionali e della WADA, il fenomeno è ancora molto diffuso e l’unico modo per arrestarlo potrebbe essere quello di ridare agli atleti ciclisti delle condizioni più umane in cui possano confrontarsi nella legalità e secondo principi di lealtà. A far la differenza dovranno essere, quindi,  solo le proprie gambe o al massimo i 100 g in meno della bici recuperati Dio solo sa come.
Io, però, ho perso l’illusione che il mondo del ciclismo a livello professionistico possa cambiare.
Pertanto non posso non essere d’accordo con Torri che dopo l’ennesima inchiesta in cui viene coinvolto anche il campione spagnolo Contador,  ha dichiarato che il doping è invincibile per il semplice fatto che cambia in continuazione. C’é chi paventa la possibilità che possa prendere piede una nuova forma di doping, quello genetico che prevede l’utilizzo, a scopo di doping naturalmente, di quelle che sono le tecniche della terapia genica.
Si pensa che  si potrebbero modificare le cellule del tessuto muscolare, così da produrre una sostanza in grado di inibire il fattore che blocca la crescita delle fibre muscolari, portando così ad un aumento della massa muscolare. Oppure, si potrebbero modificare le cellule del rene, affinché producano più eritropoietina. Ma allora si sarebbe in grado di scoprire l’atleta dopato?
Ho sempre pensato che se fossi stato un ciclista professionista, non avrei mai utilizzato alcuna sostanza illegale per migliorare le mie prestazioni. E se davvero come dice Torri, nel mondo del ciclismo tutti si dopano, bhè allora io sarei stata l’eccezione e mi sarei accontentato di vivere la mia carriera ciclistica in coda al gruppo, cercando di mettermi in evidenza in qualche fuga da lontano, anticipando le salite più lunghe e più ripide del Giro o del Tour. Mi sarei accontentato di scalare per primo la cima Coppi della corsa rosa. Magari avrei dedicato tutta la preparazione al Giro per dare il meglio di me al cronoprologo di 8 km,  riuscendo chissà a piazzarmi nei primi dieci della classifica. Ma forse sarebbe sato anche troppo.
Oggi vivo la mia passione lontano anni luce dai problemi del doping, li conosco solo perché apprendo le notizie dai media e perché mi interessa conoscere le problematiche ed i meccanismi che gli ruotano attorno.  Certo a livello ciclo amatoriale, anzi a livello cicloturistico, a nessuno verrebbe in mente di fare uso di sostanze vietate. O no?
Eppure per combattere alla radice il problema, o quantomeno per tentare di farlo, basterebbe insegnare ai bambini, già alle scuole elemntari che il doping "fa la bua". Ma c'è chi, come un esponente del comitato regionale Pugliese della Federazione Cilcistica Italiana ed altri esponenti delle associazioni sportive gravinesi, crede che parlare ai bambini del doping significherebbe fargli conoscere qualcosa che sarebbe più opportuno tenergli nascosto evitando addirittura che possano così essere invogliati a "provarlo".
Incredibile! Incredibile ma vero Perchè queste sono state le parole dell' esponente regionale alla mia richiesta di dare spazio, anche un minimo spazio al problema doping, nel largo Fiera in occasione della Giornata nazionale dello sport organizzata a Gravina un paio di mesi fa.
Una giornata in cui a Gravina del problrma del doping ci si è completamente dimenticati, per evitare di turbare la tranquillità psicologica dei nostri bambini evitandio di metterli a conoscenza dell'esistenza di questo "orco".
Nel frattempo in altre regioni d'Italia bambini delle scuole elementari  e medie organizzavano piccole manifestazioni contro il doping e a favore dell'informazione, dimostrando ai microfoni dei giornalisti, una buona conoscenza del problema.


martedì 24 agosto 2010

1996: Pamplona - 17 giugno.

 Il problema di chi si accinge a scrivere la prima pagina di un "diario"  credo sia proprio quello di scegliere che cosa scrivere. 
Come iniziare!? Non si sa mai come farlo.....o meglio io non so mai come farlo.
Generalmente lo si fa con due semplici parole: "Caro Diario..... "
Certamente Diario va scritto con la lettera maiuscola perchè per chi scrive, il Diario, è un amico al quale confidare i propri pensieri, una persona in carne ed ossa capace di ascoltarci in qualsiasi momento, capace di stare in silenzio o,  magari, capace anche di darci dei preziosi consigli quando ce n'è bisogno.
Oggi il Diario non c'è più ed al suo posto ci sono i Blog che svolgono più o meno la sua stessa funzione.
Con le opportune modifiche alle "impostazioni sulla privacy", è infatti possibile rendere il nostro mondo inaccessibile e segreto. Proprio come un buon vecchio diario con tanto di lucchetto.
Oggi, tuttavia, chi scrive in un Blog lo fa per rendere di pubblico dominio i propri pensieri e le proprie emozioni. Oggi più gente accede ai miei "segreti" meglio è; più persone leggono il mio diario meglio è! 
"Vogliamo tutti sputtanarci sul web" e credo che in fin dei conti non sia nemmeno così semplice. 
Bisogna inserire i Blog nei motori di ricerca, aggiornarli costantemente, renderli avvincenti ed interessanti, pubblicizzarli sul maggior numero di portali nel mondo delle 3 w. 
In caso contrario, il nostro Blog sarà anche più inaccessibile e segreto di quel vecchio diario chiuso a chiave da un lucchetto dorato e nascosto in fondo al cassone nella cameretta, al sicuro da occhi indiscreti, sotto tutti quei vecchi giocattoli che ormai non usiamo più. 
Per quel che mi riguarda, voglio cominciare questo diario, anzi questo Blog, nel quale racconterò - quando ci saranno - delle mie (pseudo)uscite in bicicletta, con un articolo di giornale publicato sul Corriere della Sera nel lontano 1996.
A quel tempo erano passati 6 anni da quando credo di essermi innamorato di questo sport.
Da quando ho cominciato a masticare ciclismo, son certo di aver vissuto ammirando un solo vero campione. Il Navarro triste, il grande Miguel Indurain.
E per questo non posso esimermi dall'omaggiare il mio idolo, con il primo post del blog.

E' il giorno della 17^ Tappa, quella che va da Argelès-Gazost a Pamplona. Quella che per gli organizzatori di quel Tour de France sarebbe dovuta essere la Tappa che avrebbe incoronato Miguel Indurain Re del Ciclismo. Sarebbe dovuto essere il primo corridore ad aggiudicarsi 6 Tour de France e per di più consecutivamente, sconfiggendo una maledizione che aveva colpito prima di lui altri grandi campioni del passato capaci di indossare la maglia gialla a Parigi "solo" cinque volte.
Insomma doveva essere la tappa della celebrazione del Navarro, proprio a casa sua, sulle strade dei suoi allenamenti, quelli  con il fratello Prudencio.
Ma non fu così!
Si trattò della Tappa che, invece, decretò la fine di un'era, il tramonto di un campionissimo.
Una tappa che presentò al mondo un Re senza scettro, già colpito duramente nei giorni precedenti. Un uomo dal viso affaticato, stanco e segnato dalla sofferenza di chi ha dovuto affrontare un lunghissimo calvario .
Quel giorno, il 17 luglio del 1996 sarebbe dovuta essere La Storia, ma così non fu.
O almeno non lo fu per molti.
Per me, invece, quella giornata dovrebbe essere ricordata anche a lezione, nei manuali di Storia dell'ultimo anno di scuola superiore. Dovrebbe essere narrata al pari di alterttanto importanti giornate, di gloriose disfatte, come il  18 giugno del 1815, il giorno della Battaglia di Waterloo, o come il 18 ottobre del 202 a.C., il giorno della battaglia di Zama in cui Annibale dovette arrendersi alla potenza dell'esercito di Roma.

In poche parole dovrebbe essere narrata come l'inizio di un mito!

Casa Indurain, omaggio al re nudo

Miguel nella sua Pamplona a 8' da Rijs che lo difende: " Non e' al meglio ma resta il piu' grande " .

La maglia gialla da' un' altra dimostrazione di forza nella tappa vinta dallo svizzero Dufaux.


Davanti al suo pubblico il vecchio re del Tour s' e' presentato nudo sul podio: senza scettro, senza corona, senza mantello d' ermellino, senza trono. Accanto a lui il nuovo re, in tenuta di gala, che ha voluto alzargli il braccio in segno di vittoria per fargli riscuotere l' applauso di migliaia di sudditi, piu' commossi che delusi. Il Tour ha voluto rendere omaggio a Miguel Indurain facendo tappa a Pamplona. Nelle intenzioni di Jean Marie Leblanc sarebbe dovuta essere una sorta di grande passerella per consentire ai tifosi di Indurain di assistere al suo trionfo, senza bisogno di andare a Parigi come hanno fatto per cinque anni consecutivi. Le minacce degli indipendentisti baschi non avrebbero turbato il regolare svolgimento della corsa, perche' ci avrebbe pensato Indurain a calmarli, non solo a parole come ha fatto dall' inizio del Tour, ma pedalando con i migliori davanti a tutti: questo era il convincimento degli organizzatori. Ma il vecchio re, dopo le batoste di Les Arcs, del Sestrie' re e di Hautacam (ed il mezzo passo falso della cronoscalata di Val d' Ise' re) non e' entrato in Spagna, sua terra natale, con i migliori. Era gia' stato staccato sul Col du Soudet, incapace di reggere il ritmo del nuovo re in maglia gialla, Bjarne Rijs. Cosi' , quando al termine della discesa le auto che precedevano la corsa sono state bloccate da una ventina di dimostranti baschi che reggevano in mezzo alla strada un grande striscione bianco con la scritta "insurrezione, indipendenza", non e' stato possibile usare Indurain come paciere. Ma gli undici fuggitivi (Rjis, Bolts, Ullrich, Virenque, Dufaux, Herve' , Leblanc, Ugrumov, Escartin, Luttenberger e Bartoli) hanno superato senza grossi intoppi il blocco, disperso un po' rudemente dalle forze dell' ordine. Quando e' passato in quel punto, Indurain neppure s' e' accorto di quel che era successo. Forse non era normale che il re si staccasse sulla salita meta dei suoi allenamenti insieme col fratello Prudencio, e quindi conosciuta metro per metro. Ma l' Indurain ' 96 e' questo. Il suo calvario e' risultato meno doloroso perche' ha trovato un insperato aiuto in Max Lelli che l' ha riportato nel gruppo inseguitore. Cosi' , mescolato in una numerosa compagnia, ha percorso gli ultimi 150 chilometri della maxi tappa, senza tuttavia dare una mano a Rominger e Olano che cercavano di salvare il podio. Dietro la locomotiva Rijs, scortato dal giovane talento tedesco Ullrich, Virenque e Dufaux, Leblanc e Ugrumov, Escartin e Luttenberger vedevano la possibilita' di scalare posizioni in classifica visto il ritardo che accumulavano Olano e Rominger, mentre Berzin era saltato subito (al traguardo accusera' oltre mezz' ora di ritardo). E nel limite consentito dalle loro forze spalleggiavano la maglia gialla nella sua fantastica e sfrontata cavalcata. Quanta differenza tra nuovo re e vecchio re, uno sempre pronto ad attaccare, a non cedere niente agli avversari, l' altro sempre pronto a rispondere e a dispensare favori. Volendo dimostrare che il padrone e' lui, a due chilometri dalla conclusione Rijs ha piazzato uno scatto al quale solo Dufaux, preziosissima spalla di Virenque re degli scalatori, e' riuscito a rispondere. Non gli ha mai dato un cambio e, negli ultimi metri, e' riuscito a rimontarlo e ad assicurarsi la vittoria di tappa. Dopo aver fatto il Rijs per 261,980 chilometri, il danese ha fatto l' Indurain negli ultimi venti metri. "Ci tenevo a vincere, ma quando ho visto che Dufaux non mi dava il cambio, ho capito che puntava alla vittoria di tappa. In fondo non posso volergliene, perche' e' stata la Festina ad attaccare sul Soudet, da li' e' nato l' attacco decisivo. Mi spiace solo che tra noi non ci fosse Indurain: quest' anno non era al meglio, ma resta un grande campione, forse il piu' grande". Il vecchio re vuole arrivare fino in fondo, vuole tagliare il traguardo di Parigi. Per contro fino a domenica non vuol sentire parlare di Olimpiadi. "Adesso sono al Tour, non ho altro per la testa. Quanto ad Atlanta, ho quindici giorni di tempo per recuperare". 


Indurain in Maglia Gialla, più dietro il Pirata.